Andrea Pusateri (Monfalcone, 8 agosto 1993) è un campione di paraciclismo.
A soli 4 anni Andrea è vittima di un grave incidente alla stazione di Monza in cui sua mamma perse la vita ed Andrea entrambe le gambe, di cui la sinistra gli venne reimpiantata.
Cresciuto dai nonni Andrea, pur praticando diversi sport, fin da bambino sviluppa una forte passione per il ciclismo: passione che oggi, grazie ai suoi sacrifici e ad una volontà di ferro, è diventata anche la sua professione.
Dal 2008 Andrea inizia a partecipare a tutte le gare del paraciclismo ottenendo diverse vittorie e ottimi piazzamenti a livello mondiale.
Diplomatasi in ragioneria nel 2014, Andrea decide di dedicarsi esclusivamente al ciclismo aggiudicandosi ben presto (nel 2015) la sua prima vittoria in coppa del mondo.
Una storia di grande forza mentale quella che mi racconta Andrea durante quest’intervista, una storia caratterizzata dalla consapevolezza che anche nelle difficoltà si celano aspetti positivi, occasione di miglioramento e di crescita costante.
Andrea, quanto conta la testa nel tuo sport?
La testa conta tantissimo, senza la volontà di fare fatica non vai lontano e questo in ogni aspetto della vita, non solo nello sport.
Ho fatto gare in cui già dal secondo giro mi auto-convincevo che la gara sarebbe andata male ed effettivamente poi andava male così come in certe gare partivo convinto di vincere e poi effettivamente vincevo.
Se ci credi hai più possibilità di vincere.
Ciò che accade nella mente di un atleta quando si auto convince di raggiungere i suoi obiettivi non è magia, è un’equazione semplice e lineare.
Credere nelle proprie capacità di raggiungere l’obiettivo porta l’atleta a dare tutto sé stesso e ad impegnarsi al massimo per raggiungere quell’obiettivo.
Il pensiero, l’auto convinzione, si traduce in atteggiamenti e comportamenti concreti che guideranno l’atleta proprio in quella direzione.
A volte crederci non basta! la vittoria dipende da troppi e incontrollabili fattori, tuttavia crederci è il primo imprescindibile passo per provarci per davvero e se ci provi, se dai tutto, hai certo più probabilità di riuscirci.
Ma per dare tutto, devi prima crederci.
Nella tua carriera sportiva, fino ad oggi, ti sei mai avvalso del supporto di un Mental trainer?
Il mio preparatore atletico, Fabio Vedana, è anche Mental coach e diciamo che quando ne ho bisogno ha sempre la parola giusta da dirmi al momento giusto; mi aiuta spesso a vedere le cose da un’altra prospettiva.
La tensione pre- gara, la paura di deludere le aspettative, l’insicurezza nelle proprie capacità spesso sono originate da una modalità distorta di osservare sé stessi e gli eventi.
In questi casi, poter contare su una figura professionale esterna che aiuti l’atleta ad osservare gli eventi da una prospettiva differente a volte è sufficiente a placare l’ansia e a trovare serenità.
Perché, fra tutti gli sport possibili, hai scelto di praticare proprio il ciclismo?
Quand’ero bambino mio zio mi ha insegnato ad andare in bicicletta e uscivo con lui, la bicicletta mi è sempre piaciuta.
Avevo un amico che correva su strada e, da buon spirito competitivo che ho sempre avuto, mi è venuta voglia di provare a gareggiare.
Mi sono informato, ho cercato una squadra paraolimpica e nel 2008 ho corso la mia prima gara; ho iniziato per divertimento ma da subito me lo sono sentito che quella era la mia strada.
Da lì ho continuato a gareggiare e nel 2013 è arrivata per me la prima convocazione in nazionale, insieme ai primi risultati a livello internazionale.
So che nel 2015 hai subito un altro grave incidente durante un allenamento…
Sono stato in coma farmacologico per 7 giorni e poi, uscito dal coma, sono rimasto per altri 7 giorni in ospedale senza mai poter toccare la bici, in quell’occasione persi 10 chili.
In tanti dopo quell’infortunio mi hanno dato per spacciato, in tanti credevano che ormai, dopo questo stop forzato, non sarei più riuscito a vincere la coppa del mondo che si sarebbe tenuta da lì a 3 mesi.
Ricordo che appena uscito dall’ospedale, nonostante le raccomandazioni dei medici di stare fermo ancora un mese, ho subito ripreso gli allenamenti sui rulli.
Ci tenevo tantissimo a vincere quella coppa del mondo, a maggior ragione visto che sarebbe stata in Italia.
Avevo perso tanta massa muscolare durante quei giorni in ospedale e i primi giorni sui rulli facevo fatica a spingere; ho iniziato a fare palestra e ad allenarmi duramente per recuperare il prima possibile la forma fisica.
La volevo vincere a tutti i costi quella coppa del mondo, mi sono auto- convinto che l’avrei vinta, e ci sono riuscito.
La tua famiglia ti ha sempre supportato in questa passione che oggi è diventata il tuo lavoro?
Sono stato cresciuto dai miei nonni e si, loro mi hanno sempre supportato sia economicamente sia moralmente.
Inizialmente è stato mio nonno che mi portava alle gare, anche mia sorella e i miei amici quando c’era bisogno mi accompagnavano e ho sempre avuto un gran supporto da tutti loro.
Quali sono state le difficoltà più grosse che hai vissuto nella tua carriera agonistica fino ad oggi?
In realtà momenti di crisi vera non ne ho mai avuti.
Io cerco sempre di vedere tutto in maniera positiva: so per certo che quando accade una cosa brutta poi ne segue un’altra migliore, più bella, in un ciclo continuo... è la vita.
Il pensiero positivo è una costante nella vita di Andrea; la capacità di cogliere l’apprendimento che si nasconde all’interno delle difficoltà è un’abilità mentale tipica dei campioni dello sport.
Come vivi mentalmente il pre- gara?
Nel pre- gara provo molta tensione, penso spesso a cosa potrebbe accadere anche di brutto per impedirmi di raggiungere il risultato sperato.
Qualche pensiero negativo nel pre gara ce l’ho ma poi parte la gara e non ci penso più, riesco a concentrarmi al massimo.
L’unico pensiero che posso avere in gara è quello di non staccarmi e di restare lì.
Fino a che la tensione pre- gara resta entro certi limiti, controllabili e gestibili dall’atleta, la performance non è a rischio tuttavia nel momento in cui questa agitazione evolve trasformandosi in malessere psico- fisico, e qualora persista anche a gara avviata, è necessario darsi da fare per imparare a gestirla.
Il Mental training fornisce all’atleta gli strumenti cognitivi per imparare a gestire l’ansia pre- gara riportandola entro limiti controllabili e funzionali alla performance.
Come si svolgono le tue gare?
A differenza del classico ciclismo su strada, in cui si corre a squadre, nel paraciclismo tutti corrono contro tutti, non c’è gioco di squadra.
Quali sono secondo te le tre caratteristiche fondamentali, dal punto di vista mentale, per un atleta che pratica il tuo sport?
Per me la caratteristica mentale fondamentale è solo una: Credere in sé stessi.
Credere di aver fatto tutto ciò che si reputava essere giusto in passato e credere di poter fare sempre meglio in futuro.
Credere in sé stessi è ben diverso dal sopravvalutarsi, molti atleti ancora confondono questi due termini.
Credere in sé stessi significa essere consapevoli dei propri punti di forza e, allo stesso tempo, riconoscere le proprie debolezze come aspetti da migliorare e da compensare, non come ostacoli e difficoltà che limitano nel conseguimento dei propri obiettivi.
È una sottile differenza di prospettiva che fa la differenza nella gestione mentale della gara: è da questa convinzione, è dalla fiducia in sé, che derivano tutti gli atteggiamenti mentali e reazioni che accompagnano l’atleta nel corso della performance.
Andrea, quale obiettivo stai preparando ora?
Il Campionato italiano del 1° luglio a Darfo Boario e la coppa del mondo in Olanda dove l’anno scorso sono arrivato secondo, è una gara adatta alle mie caratteristiche e ci tengo molto.
Ringrazio Andrea per avermi concesso questa intervista augurandogli un grande in bocca al lupo per i suoi prossimi obiettivi.
Ti piacerebbe essere seguito/a da un Mental trainer? Ti piacerebbe migliorare la tua gestione mentale in gara?
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Dott.ssa Claudia Maffi (psicologa dello sport)